Questa pubblicazione presenta i risultati di un laboratorio di tesi presso la Facoltà di Architettura “Ludovico Quaroni” di Roma La Sapienza, dal titolo “Abitare solidale e sostenibile”. Le premesse dei progetti qui raccolti risiedono nelle riflessioni maturate in un precedente contesto di ricerca, cioè il Laboratorio di Progettazione Architettonica ed Urbana IV che ho tenuto presso la stessa Facoltà durante il semestre invernale 2010/11, e i cui esiti sono già stati registrati in una precedente pubblicazione dal titolo I ♥ PdZ. I Love Piani di Zona. Microeconomie in cerca di città. Il Laboratorio di Tesi ne ha rappresentato la naturale occasione di approfondimento. L’obiettivo generale del laboratorio di tesi ha riguardato la predisposizione di ipotesi progettuali e strategie di rigenerazione urbana sostenibile nei PEEP degradati o incompiuti della periferia romana. Progetti in grado di prefigurare un immaginario urbano e architettonico innovativo, cioè più conforme alle identità culturali e sociali delle comunità di quartiere che li abitano attualmente.
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Esiste un rito magico con il quale si invoca e ci si propizia la pioggia innaffiando la polvere secca della terra. Allo stesso modo si invoca e ci si propizia l’universo costruendo una casa. La casa è la ricostruzione dello spazio dell’universo come l’acqua versata sulla terra è la ricostruzione della pioggia. L’architettura è sempre stata, e oggi lo è più che mai, un rito magico: e tutte le volte che si perde la realtà magica dell’architettura si perde anche l’architettura. […] Anche nel rito di costruire una casa esistono due tempi. Uno è il tempo dello spazio dell’universo, percorso dai giorni, dalle notti, dalle stagioni, dai mari, dalle foreste e dai deserti: uno spazio incontrollato e misterioso carico di favori e di disgrazie. L’altro è il tempo del rito, quando si costruisce uno spazio artificiale, conosciuto, preparato, e controllato a evocare, a sottrarre favori e fortune al grande spazio dell’universo. L’architettura è rito magico; ed è invocazione e presunzione. È invocazione quando l’uomo solo, stanco e terrorizzato, chiede all’architettura protezione e certezza; è presunzione quando l’architettura si afferma e si impone come simbolo di protezione e certezza contro l’aggressione dell’universo. […] L’architettura vive in questa coesistenza di invocazione e presunzione, vive di volontà magica, ricostruendo secondo gli ordini e le cadenze e la meticolosa procedura del rito, lo spazio grande e caotico dell’universo e vive stabilendo per simboli statici e pietrificati, innalzati contro il cielo, il segno della presenza umana cioè il segno della convenzione umana. L’architettura comincia dove l’uomo è riuscito a possedere in una qualsiasi maniera lo spazio naturale. […] Il rito dell’architettura si compie per rendere reale uno spazio che prima del rito non lo era. […] Quando saremo convinti che l’architettura è un rito nel quale si punta senza distrazioni e senza pause alla creazione di uno spazio reale, tutti i problemi che oggi sembrano la questione centrale, quella dell’architettura, cadranno come problemi senza senso.
Sottsass, E. (1956) Per un bauhaus immaginista contro un bauhaus immaginario, in Codignola, M. (2017) Per qualcuno può essere lo spazio, Adelphi, pagg 169-179